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Misure

cm 56,5 x 48

Descrizione

XVIII secolo

Ritratti degli imperatori romani Sergio Galba e Vespasiano

(2) Olio su tela, cm 56,5 x 48

Con cornice cm 67 x 58

 

La costruzione dei due dipinti in questione deriva dal perduto ciclo degli Imperatori Romani realizzato da Tiziano per Federico Gonzaga di Mantova fra il 1536 e il 1539. I dodici ritratti di imperatori, le cui gesta furono descritte da Tranquillo Caio Svetonio, sono citati nel 1550 dal Vasari nell’edizione Torrentiniana delle Vite, il quale li colloca nell’anticamera della Stanza di Troia nel Palazzo Ducale di Mantova. Tiziano eseguì gli 11 quadri tra il 1537 e il 1538. Nel 1628 i dipinti furono acquistati da Carlo I, che li portò in Inghilterra, per poi trasferirli in Spagna, dove furono distrutti nell’incendio dell’Alcazar del 1734. Di essi rimane memoria nelle incisioni di Egidio Sadeler e nei disegni di Jacopo Strada. La straordinaria diffusione di queste iconografie, tuttavia, si deve a Bernardino Campi, pittore cremonese particolarmente prolifico e apprezzato dalla nobiltà lombarda nella seconda metà del Cinquecento, quando nel 1561 Francesco Ferdinando d’Avalos durante un soggiorno alla corte mantovana chiese al pittore eseguire delle copie disegnate oggi perdute degli undici Cesari di Tiziano aggiungendovi di sua mano il ritratto di Domiziano. Di ritorno a Milano, Campi realizzò la prima di molte serie di dodici dipinti nella bella e robusta maniera di Tiziano. A esempio ancora nel nono decennio l’artista ricevette da Vespasiano Gonzaga l’ordine di realizzare una serie di dodici dipinti su tela raffiguranti altrettanti imperatori romani da collocare nel Palazzo Ducale di Sabbioneta.

I due imperatori rappresentati sono Galba e Vespasiano: il primo regnò per un periodo limitato, dal 68 d.C. al 69 d.C.: successore di Nerone, Galba fu violentemente assassinato in una congiura tesa dal rivale e futuro imperatore Otone. Il secondo, Vespasiano, fu il primo imperatore della dinastia Flavia e ottenne il regno alla fine del 69 d.C.: egli discendeva da una modesta famiglia del ceto equestre italico (il padre era esattore delle imposte nella Sabina). Si era fatto da sé, salendo per i suoi meriti i gradi dell’esercito. Nel 69 d.C., con la lex de imperio Vespasiani, si fece assegnare in blocco tutti i poteri di cui i suoi predecessori avevano goduto. Dichiarò senza mezzi termini che gli sarebbero succeduti i figli Tito e Domiziano. In questo modo mise fine all’idea del principe come “primo fra pari”. Di fatto, spazzò via la finzione della repubblica, che ormai sopravviveva solo formalmente. Fu con Vespasiano che il principato incominciò a chiamarsi impero. Era consapevole che occorreva ristabilire il consenso intorno alla figura del principe e ridare stabilità all’impero. Attuò allora una politica mirante alla pace e alla sicurezza interna. Riassestò le finanze, stabilendo che ogni nuova spesa dovesse avere una adeguata copertura nel bilancio pubblico. Rinunciò ai fasti di corte. Non rinunciò a intraprendere importanti e utili opere pubbliche, tra cui il famoso anfiteatro Flavio, più noto come Colosseo. Per meglio avvicinare a Roma gli abitanti delle province, Vespasiano ampliò il diritto di cittadinanza, favorendo una massiccia immissione di elementi provinciali tra i funzionari imperiali e nell’aristocrazia senatoria. Nei 10 anni del suo regno, Vespasiano fu in grado di garantire, dopo una lunga fase di instabilità, a Roma e alle provincie pace e prosperità a livello economico.

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