Scuola genovese, XVII secolo
Riposo durante la fuga in Egitto
Olio su tela, cm 116 x 96
Con cornice, cm 128 x 107
Il vangelo apocrifo dello Pseudo Matteo racconta che, affamati e stremati dal viaggio, Gesù, Giuseppe e Maria decisero di fermarsi al fresco riparo di un boschetto ricco di arbusti. Quando la Vergine mostrò l’intenzione di voler assaggiare dei datteri lì vicino ma San Giuseppe non fu in grado di coglierne, il Bambino comandò alla pianta che i suoi rami si piegassero e che dalle sue radici sgorgasse dell’acqua limpida. Così, nel presente dipinto, si figura l’istante in cui una coppia di eterei angioletti accorre ad allungare una manciata di rossi frutti alla famiglia. Simbolo della virginea presenza di Maria, cui peraltro rimanda in un passo del Cantico dei Cantici, la palma da dattero poteva rappresentare anche l’Immacolata Concezione, in quanto affondante le proprie radici nell’acqua più pura, determinata nella resistenza al sole e oasi riparatrice.
La matrice artistica pienamente ligure, densamente illuminante nelle liquide sfumature delle vesti e nelle rosseggianti gote dei personaggi, si accosta allo stile di alcuni tra i massimi esponenti di questa scuola pittorica. Con Luca Cambiaso (1527-1585) si aprì quella stagione che, dopo un michelangiolismo iniziale, raccolse prima l’eredità di Perin del Vaga, quindi di Giovan Battista Castello detto il Bergamasco, con il quale l’artista collaborò presso il santuario delle Grazie presso Chiavari. Il linearismo del Cambiaso, punto di ispirazione per la presente opera, risolse una compartimentazione estatica che produsse probabili, suggestivi precedenti per il presente nella Santa Maria Maddalena penitente (in collezione privata), misticamente assorta e dalla fisionomia fortemente tumida al pari di questa Vergine. Così accade anche per Venere e Adone della Galleria Borghese di Roma e per la tela con Riposo nella fuga in Egitto, di pari impostazione, oggi custodita presso il Museo dell’Accademia Linguistica di Belle Arti di Genova. Se immancabile confronto per denunciato parallelismo risulta trapelare dalla Venere e Cupido (The Art Institute of Chicago, Chicago) per la nitidezza con cui l’artista del presente rinfocola i colori caldi che guizzano per tutta la tela, occorre tenere a mente anche la di poco successiva lezione di Valerio Castello (1624-1659), maturo pittore al tempo del qui presente dipinto. Esponente di punta del barocco genovese, Castello fuse l’osservazione diretta delle opere di Perin Del Vaga con indiscrezioni milanesi e parmensi, abbracciate durante soggiorni fuoriporta. Avvicinatosi alla sensualità del Van Dyck, contribuì alla formazione del poi celebre Domenico Piola, giocando sulla sfumatura del chiaroscuro indirizzato ad un’immediata carica espressiva. La sua Madonna Assunta, di concerto con il Ratto delle Sabine nella doppia versione custodita presso gli Uffizi e una collezione provata, ne è testimonianza esemplare. La carità, invece, si accosta al presente dipinto per il lenticolare patetismo della Vergine, uniforme a quanto poi promosso da Antonio Maria Vassallo (1620-1664/72), a bottega di Vincent Malo, presso il quale poté imparare l’arte di Peter Paul Rubens e David Teniers il Vecchio, circostanza che fornì lui la definizione del più fiammingo dei genovesi. Oltre al dipinto con analoga scena di riposo durante la fuga in Egitto (coll. priv.), l’artista si distinse per una Apparizione dell’angelo ad Agar (Genova, collezione Durazzo Pallavicini), pittorescamente simile, nella propensione di Agar verso l’angelo, alla presente Vergine.
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