An interior life
di Maria Vittoria Baravelli
Non è forse vero che ogni collezione che si rispetti, si configura come una sorta di diario? Quello di una oscura mania che nasce nel bisogno di trasformare lo scorrere della propria esistenza in una serie di oggetti salvati dalla disperazione o in una serie di immagini cristallizzate fuori dal flusso continuo della storia?
Collezionare oggetti non è tanto diverso dal mettere insieme varie fotografie. Infatti, non esiste una vera differenza tra un collezionista ed un artista (in tutte le sue declinazioni compreso quella di fotografo) se non quella di aver scambiato tra loro i “mezzi” e i fini. Il collezionista ha fatto dei mezzi e quindi degli oggetti, il proprio fine, la dove l’artista fotografo usa gli stessi mezzi come tramite, per arrivare all’arte, suo unico scopo.
Il motivo che mi ha spinto ad immaginare la mostra di Piero Gemelli “An interior life” è ravvisabile in questo suo intimo bisogno psicologico di custodire, salvare e ridare dignità ad oggetti che diviene tratto principale della sua personalità artistica.
Piero Gemelli (Roma 1952) sfugge in realtà a qualsiasi classificazione che abbia presunzione di assolutezza. Dopo gli studi in Architettura si trasferisce a Milano dove intraprende la sua carriera di fotografo. Specializzato in beauty e still life, ha collaborato a lungo con Vogue Italia e con le edizioni estere di Conde Nast, realizzando campagne ed immagini pubblicitarie per marchi internazionali quali Gucci, Ferrè, Tiffani, Lancome fstee Lauder, Revlon e Shiseido.
Tuttavia, il suo approccio alla fotografia è più vicino ed analogo a quello che seguirebbe un architetto per un progetto. Lo scrive Natalia Aspesi in apertura della monografia “Piero Gemelli, fotografie 1983-1993” in cui si legge che in fin dei conti: “Gemelli sia più che un architetto diventato fotografo, un architetto che ha scelto la scultura. Un uome che crea opere con le cose e con i corpi e li fotografa solo perché non può mostrare l’oggetto che amorevolmente immagina e costruisce”
Piero Gemelli ha guardato, sognato, immaginato costruito e prodotto fotografie che s configurano come la summa di tutto ciò che ha visto, letto e studiato. Perché la moda, è tutt’altro che frivola ed è da considerarsi un oggetto sociologico privilegiato, sul cui campo si giocano incontri che vedono coinvolti attori provenienti da tutti i settori della via sociale, culturale ed economica. E se è vero che la moda e la fotografia ad essa collegata, in grado di raccogliere tutti gli stimoli, di rimetterli in gioco diventando così terreno d interpretazione, traduzione e spazio di una cultura condivisa, l’idea che una mostra foto grafica venga esposta nella stessa casa studio del fotografo risulta tanto virtuosa quante interessante.
“Io non rubo l’attimo, non fotografo ciò che accade ma ciò che vorrei accadesse” così Gemelli ci racconta la sua visione della fotografia di cui trasforma lo spiccato realismo, in pura contingenza.
Le donne sono amate dal fotografo e vengono colte per quello che loro permettono a lui di vedere; sono donne bellissime, scultoree oppure adornate di gioielli, pizzi , e moderni cimeli. Un mondo ideale e immaginario che non ha apparentemente riscontro con le realtà e con la storia, ma che con essa inevitabilmente si fonde. Piero inscena i suoi mondi possibili, le sue dame, intrise di una magica malinconia e crea un gioco sottile tra atmosfere diverse e corrispondenze fascinose.
E dato che nessun quadro storicamente è mai stato dipinto, per essere appeso in mode asettico, in stanze bianche inanimate, Gemelli ha immaginato un progetto site-specific che metta in crisi il concetto stesso di galleria White Cube, inserendo uno spazio estraneo, neutro all’interno del suo studio. Un cubo scomposto, spoglio ed aperto in contrasto con il ricco ambiente in cui si inserisce. Le fotografie dialogano e si confondo con gli oggetti della casa mostrando la spontaneità del lessico familiare di Gemelli.
Così si avranno nobildonne contemporanee, modelle adagiate non in una galleria cieca spoglia ed iper-tecnologica ma in una stanza verosimile, illuminate così, dalla luce de sole che cambia continuamente durante le ore del giorno, accompagnate dalle voci delle persone che vivono quotidianamente gli ambienti ed ora dai visitatori.
Questa white cube destrutturata diventa così lo spazio entro cui Gemelli (e qui emerge i suo lato da architetto e direttore artistico) da vita ad “un mondo dentro il mondo”, alla stanza del sogno. Uno spazio fluido, dinamico ed osmotico che scongiura la staticità delle mosca imprigionata nell’ambra. Perché come diceva Susan Sontag “ chi colleziona fotografie, colleziona il mondo” e i fotografi come i designer e i collezionisti del resto, sono i fisionomi dell’universo degli oggetti.
E in fondo cos’è l’oggetto o la fotografia stessa, se non il desiderio di possedere tutto, anche attraverso un singolo frammento?!
An interior life
mostra di Piero Gemelli a cura di Maria Vittoria Baravelli
Piero Gemelli Studio – via Morimondo, 5 20143 Milano
mail to: gallery@pierogemelli.com