XVII secolo
cm 91 x 110,5
Paolo Bartolomeo Clarici, detto Abate Paolo (Ancona, 1664 –Padova, 1725)
Natura morta con pesci, frutti e stoffa ricamata
Olio su tela, cm 91 x 110,5
Con cornice, cm 108,5 x 130,5
Scheda critica Prof. Alberto Crispo
Solito dipingere cacciagioni e profumate nature morte ricche di ortaggi e frutti, Paolo Clarici, meglio noto come Abate Paolo in ragione del titolo ecclesiastico, ha incontrato recentemente un’apprezzata fama in ragione di un consolidamento dello spettro delle sue attribuzioni. Un acerbo dubbio circa l’insistita attribuzione a Giacomo Ceruti e altri naturamorfisti del centro e nord Italia di una coppia di sue tele, maturò in seno alla collezione del già barone Vitali. Maria Silvia Proni optò con cautela di riconoscervi la mano di un anonimo artista lombardo di Sei-Settecento, ma gli stringenti e incontrovertibili confronti che queste opere intessevano con i dipinti in galleria Der Schulenburg hanno consentito soltanto recentemente, ad Alberto Crispo, di avvalorarsi dello spoglio delle fonti per meglio collocare l’esecuzione della rosa dei dipinti in questione tra la fine del XVII secolo e il primo quarto del XVIII secolo, propendendo per la parallela identificazione dell’artista degli stessi in Abate Paolo.
Una tela già appartenuta al collezionista bergamasco Giovanni Secco Suardo, poi confluita nelle raccolte del maresciallo veneziano Johann Matthias von der Schulenburg, ha infatti consentito di ricostruire e consolidare documentariamente il lavoro di questo artista. Comprensiva di svariate opere, la raccolta del comandante era stata recensita in un catalogo accessorio redatto in Germania soltanto dopo il XVIII secolo, in cui si riportava la presenza di alcune opere di “L’Abbé Dito Paulo”, ossia dell’abate appunto detto Paolo. Il presente dipinto concorre nell’arricchire e nel meglio cadenzare il corpus operistico di questo artista, affiancandosi alle altre tele affini entrate nei possessi del maresciallo nel 1735 (inventario generale di riferimento: inv. Schulenburg, compilato pochi anni dopo) che per prime hanno cessato una lunga tradizione di incomprensione. Già i critici Safarik e Bottari avevano ritenuto corretto identificare nello stesso ‘Abate’ tal Giovanni Agostino Cassana, noto anche come Abate Cassana. Sostenendo e appropriandosi di questa versione, Mina Gregori diede poi credito a un passato fraintendimento, intendendo che nel citato archivio Schulenburg il nome proprio “Paolo” stesse in realtà per paolotto, ossia frate francescano con cui il redattore avrebbe inteso indicare il Cassana in ragione del titolo ecclesiastico. Confermata invece la sua valenza di nome proprio entro un secondo inventario, quello del finanziare scozzese John Law fuggito in laguna in seguito alla bancarotta, si è reso quindi possibile apprezzare finalmente un’oggettiva prova documentaria dell’operato di Paolo.
Svolto l’apprendistato a Roma e direttosi successivamente a Padova, città in cui divenne prefetto dell’accademia di pittura e scultura, Abate Paolo venne descritto così dal cronista Ricci, entro le Memorie storiche delle arti e degli artisti della marca di Ancona (Macerata 1834, pp. 374-5): “Dedicossi intieramente a dipingere dei fiori, imitando con grazia, e verità le opere più belle della natura”. L’apporto di questo artista alla tradizione compositiva veneto lombarda di inizio Settecento fu decisivo: la riproposizione che Giacomo Ceruti ne fece, allineandosi anche alla scelta degli animali e dei vegetali figurati, racconta un lungo debito formale che buona parte della tradizione pittorica successiva osservò con ammirazione.
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