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25x19 cm

Descrizione

Giovanni Crivelli, detto il Crivellino (Milano, principio del XVIII secolo – Parma, 1760)

Coppia di nature vive con fagiani e beccacce

(2) Olio su tela, cm 25 x 19,5

Con cornice, cm 33 x 27,5

 

 

Non possediamo alcuna notizia certa rispetto agli estremi biografici di Giovanni Crivelli, detto il Crivellino, figlio di una suddetta Annamaria e del pittore Angelo Crivelli, noto su larga scala come il Crivellone: è probabile però ipotizzare che sia nato a Milano al principio del Settecento. Certo è che la sua formazione si svolse nell’ambito della florida bottega paterna, di cui ereditò gli stilemi tecnico-esecutivi e le particolari iconografie: il figlio, così come il padre, si dedica infatti soprattutto alla resa di soggetti animalier, prediligendo però pesci e volatili e mostrando un’attenzione particolare – e del tutto inusuale per i suoi tempi – per la psicologia animale. Lo stretto rapporto, di carattere sia personale che professionale, del Crivellino con il padre Angelo rende spesso difficoltose le attribuzioni dei suoi dipinti, spesse volte erroneamente accreditati alla figura paterna; molte sono inoltre le analogie tra le opere del pittore e quelle del naturamortista e animalista piacentino Felice Boselli, con cui, in più di un’occasione, si trovò a collaborare.

Nel 1733, la presenza del Crivellino è testimoniata presso la corte dei Savoia: a suo nome è documentato un pagamento per otto paracamini eseguiti per il vasto cantiere della palazzina di caccia di Stupinigi, progettata dal celeberrimo Filippo Juvarra nel 1729. Per questo contesto, accostandosi alle suggestioni rococò che pervadono l’ambiente di Stupinigi, il Crivellino realizza una meravigliosa serie di nature morte di cacciagione, in cui le prede appaiono appoggiate su tavoli come se fossero il bottino di una florida battuta di caccia recentemente avvenuta. In queste opere – così come in tutti i più celebri brani della sua produzione – il Crivellino mostra una lenticolare attenzione al dettaglio che deriva dalla sua fascinazione rispetto all’arte fiamminga del Secolo d’Oro e del primo ventennio del XVIII secolo: artisti come Snyders, Fyt e Hondecoteur costituiscono certamente per il Crivelli una cruciale fonte di ispirazione. Interessante è notare ad esempio le analogie, sia a livello tecnico che sul versante iconografico, tra le nature morte con animali di Crivelli e quella di Snyders attualmente all’Alte Pinacothek di Monaco di Baviera, datata agli anni Quaranta del Seicento.

Giovanni Crivelli fu in varie altre occasioni al servizio dei Savoia: ciò risulta testimoniato dal maestoso ciclo di tele eseguito dall’artista per una delle residenze della famiglia nobiliare piemontese, il castello di Agliè, nei pressi di Torino: tra le opere eseguite per questo contesto spiccano, per la loro grande bellezza, Animali da cortile, Animali da cortile con sfondo di selvaggina, Natura morta di selvaggina con cane e piccionaia e Colombe e pernici.

Sempre per i Savoia, il Crivellino è attivo presso la residenza di Moncalieri, dove realizza un ciclo di otto tele con volatili e fiere che fino al 1860 figurava nella Galleria di Levante del castello e che a partire dagli anni ’70 del Novecento si trova esposto presso le sale della Galleria Sabauda di Torino.

A testimoniare la febbrile attività dell’artista in ambito piemontese sono anche le moltissime opere del maestro conservate al Palazzo Reale di Torino, tra cui si ricordano Caccia al cinghiale, Animali feroci e Uccelli acquatici.

Secondo ciò che riporta nel 1809 l’abate Luigi Lanzi – il primo a dare notizia dell’artista, nella Storia pittorica erroneamente chiamato Jacopo – il pittore spese gli anni della tarda maturità a Parma, dove fu attivo alla corte dei Farnese: è in questo ambito che probabilmente si svolse l’incontro con Boselli, artista attivo prevalentemente in area emiliana da cui Crivellino trasse diversi spunti. Crivelli e Boselli, in realtà, si influenzarono vicendevolmente, tant’è che, così come fa notare Ferdinando Arisi, le opere degli anni ’50 dei due artisti presentano innegabilmente vari tratti comuni. È, con grande probabilità, proprio a Parma che l’artista morì nel 1760.

In queste due piccole nature vive, Crivelli, come spesso accade nelle sue opere, raffigura due coppie di volatili selvatici, in questo caso fagiani e beccacce. Il tema iconografico dei volatili selvatici è ripercorso più volte dal Crivellino nel corso della sua carriera, così come testimoniato dalla bella coppia di ovali di proprietà della fondazione Maramotti di Reggio Emilia e da due tele rispettivamente parte di una collezione privata milanese e di una fiorentina. La rappresentazione degli animali è connotata da un deciso dato di naturalismo, di chiara derivazione fiamminga. La coppia di opere in questione testimonia il riferimento alla cultura venatoria internazionale, in particolar modo fiamminga, messo in atto da parte di Giovanni Crivelli, che pare avere l’intenzione – così come posto in luce da Ferdinando Arisi nella monografia del 2004 – di competere con quei modelli. La ripresa della rappresentazione lenticolare della realtà di stampo fiammingo è una delle chiavi del grande successo del Crivellino, artista tra i più apprezzati dalla nobiltà e dall’alta borghesia della metà del Settecento.

 

 

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