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Misure

138x84 cm

Descrizione

Francesco Gandolfi (Chiavari, 1824 – Genova, 1873)

Idillio pastorale, 1855

Olio su tela, cm 138 x 84

Con cornice cm 152 x 98

Bibliografia: Orlando Grosso, Francesco Gandolfi, S.E.A.I, Roma-Milano, 1925, p. 24, tav. 11.

 

 

 

Nato a Chiavari l’8 luglio 1824 da Giovanni Cristoforo e da Teresa Solari, Francesco Gandolfi trascorse l’infanzia e la prima giovinezza nella cittadina ligure e nella villa sulla collina di San Lorenzo della Costa. Il padre, avvocato e uomo di profonda cultura, si interessava profondamente di arte, di archeologia e di numismatica, praticando, in maniera amatoriale, la pittura. Fu proprio la figura paterna ad iniziare il giovane Gandolfi all’arte, portandolo a perfezionarsi nel disegno a Genova al fianco della pittrice Rosa Bacigalupo. Nel 1834 Gandolfi venne iscritto all’Accademia ligustica di belle arti, dove ebbe come insegnanti Francesco Baratta per la pittura e Giovanni Fontana per la figura. Nel 1840, il giovane artista si recò a Firenze – viaggio tradizionale per gli artisti liguri – dove frequentò lo studio di Giuseppe Bezzuoli, autore di dipinti di soggetto storico-rievocativo e di pregevoli ritratti. Fu inoltre allievo per cinque anni dell’Accademia di belle arti, presso la quale insegnava lo stesso Bezzuoli. La successiva tappa della formazione del Gandolfi fu Roma, dove il giovane poté dedicarsi allo studio dell’arte classica e moderna. I disegni e acquerelli raffiguranti contadini e abitanti della Ciociaria, molti dei quali conservati in collezioni private genovesi, sono i soli documenti rimasti del soggiorno romano. I moti per l’indipendenza del marzo 1848 lo distolsero dalla sua attività artistica spingendolo ad arruolarsi volontario nel battaglione universitario romano. Il patriottismo che lo animava è ben testimoniato dalle scritte a matita presenti sul retro di alcuni suoi lavori – per esempio, il bozzetto (Genova, collezione privata) per il quadro con S. Filomena che avrebbe dovuto eseguire per la chiesa di Nostra Signora dell’Orto a Chiavari ma che non dipinse – che, come una sorta di diario, raccolgono le memorie personali in rapporto agli eventi storici contemporanei. Nel 1849 si trasferì definitivamente a Genova dove, dal 1850 e per un decennio, prese parte alle esposizioni della Società promotrice di belle arti. La Promotrice – fondata, tra gli altri, dal padre del pittore che nel 1848 ne aveva stilato lo statuto sociale – introdusse in città influssi eterogenei, dovuti alla partecipazione alle mostre di artisti provenienti da centri diversi, che aiutarono a sviluppare anche nel capoluogo ligure la scuola verista, esito, da una parte, della trasformazione della pittura di storia e, dall’altra, dell’evoluzione di quella di genere, di costume e a sfondo paesaggistico.

La personalità del Gandolfi maturò proprio nell’ambito di quell’evoluzione che dal romanticismo portò al naturalismo e che sottolineò il progressivo declino della scuola storica. Egli aderì in questi anni alla “Scuola grigia”, così denominata per la predilezione per le tonalità tenui e per il rifiuto dei neri, a favore di una morbida luminosità naturale. Appartengono alla produzione giovanile dell’artista alcuni ritratti familiari, conservati a Genova presso gli eredi, quali il Ritratto della sorella Maria e la Madre (entrambi del 1847), oppure il Ritratto del padre (1849), che rivelano quello che si suole definire un “temperamento artistico naturale”, seppure ancora in parte trattenuto nelle “forme convenzionali della scuola” (Grosso, 1927, p. 26). I ritratti dell’artista erano particolarmente apprezzati dalla nobiltà e dalla borghesia genovese, sino ad essere considerati “i migliori della città nel XIX secolo” (Grosso, 1927, p. 32 e tavv. 3, 9, 19-21). Dipinto in un contrasto drammatico di luci e ombre che evidenziano l’intensità di un volto colto nella sua posa abituale, è il ritratto dell’incisore Raffaello Granara (1854 o 1857: Genova, Accademia ligustica di belle arti). Tra la fine degli anni ’40 e i primi anni ’50, oltre ai ritratti, Gandolfi produce soprattutto opere di soggetto storico e letterario, in linea con il gusto del tempo, presentandole nell’ambito delle Promotrici. L’epidemia colerica che nel 1854 infierì su Genova condusse l’artista a rifugiarsi a San Lorenzo della Costa, dove, durante “quaranta afflittissimi giorni” trascorsi con la famiglia, studiò il paesaggio e gli animali, divenendo sempre più cosciente del valore del movimento verista francese. In questo periodo eseguì opere dal gusto arcadico e le ambientazioni bucoliche, tra cui, oltre all’Idillio pastorale, ricordiamo Il ruscello di San Lorenzo alla Costa e l’Amore, entrambi del 1854. A partire dalla fine degli anni ’50 l’artista si dedicò prevalentemente alla realizzazione di scene storiche dal gusto romantico, che rimandano ai grandi episodi del Risorgimento italiano: è con un’opera di questo tenore, Gian Luigi Fieschi svela la congiura alla moglie, che Gandolfi partecipa alla celeberrima Esposizione Nazionale di Firenze del 1861, essendo acclamato e raggiungendo una notorietà che supera decisamente i confini regionali. Negli anni Sessanta l’artista inizia a dedicarsi in maniera assidua alle opere di soggetto religioso, eseguite per le chiese di Genova e della Liguria. Gli affreschi del 1856 nella chiesa di S. Caterina a Varazze – raffiguranti Storie della vita della santa – aprono la serie di pitture murali che accolgono, da una parte, elementi etnografici locali e, dall’altra, i ritratti dal vero di modelli studiati per l’occasione. Nel 1861 il Gandolfi decorò la chiesa parrocchiale di Albisola Superiore con le Storie di S. Nicola; nel 1869-70 eseguì gli affreschi per la chiesa di S. Maria dell’Orto a Chiavari: in queste opere il pittore ottocentesco si mostra in grado di reinterpretare la grande tradizione della pittura sacra genovese del Seicento, dal Cigoli al Carlone. Negli anni finali della sua carriera di artista, Gandolfi rappresentò con le sue opere il neonato stato italiano all’estero: per l’Esposizione internazionale di Vienna del 1873 preparò, per l’ingresso della sezione italiana, la grande allegoria (perduta) dell’Italia ricevuta dall’Austria (bozzetto a Genova, collezione privata). Gandolfi morì a Genova, città che vide l’intera parabola di sviluppo della sua carriera di artista, nell’agosto del 1873 all’età di 49 anni.

L’opera in questione fa parte del contingente di dipinti eseguito tra il 1854 ed il 1855: allontanatosi dalla frenesia della città, l’artista, nella villa di campagna presso cui era solito trascorrere le estati durante la sua infanzia e prima giovinezza, realizza una serie di tele entro cui la natura è la vera protagonista. Nell’Idillio pastorale, due bambini, immersi in un bucolico paesaggio naturale reggono tra le mani un flauto singolo in canna di bambù e un flauto di Pan, strumenti che, sin dalla letteratura della Grecia arcaica, sono associati all’elegia bucolica e sono simbolici di un mondo arcadico entro cui ninfe, satiri e putti convivono pacificamente con l’ambiente naturale. Un’opera del genere mostra il processo di allontanamento di Gandolfi dai dettami della pittura romantica italiana di Hayez e Induno in favore di una fascinazione e di un progressivo avvicinamento alle soluzioni della pittura realista francese di Courbet, di cui si riprende l’uso dei colori e delle lumeggiature.

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