Il grande cambiamento portato da questo 2020 è inevitabile, sotto gli occhi di tutti, e coinvolge, certamente in misure diverse, le vite ed i lavori di tutti. Noi di Nowarc pensiamo sia ancora più fondamentale ora continuare ad evolversi e cercare sempre nuovi modi per continuare a crescere, con l’intento constante di dare ai nostri clienti il valore, la visibilità che meritano, fornendo più modi possibili per mostrare ciò che fanno e ciò che sono.
Ecco quindi un’altra novità, per “i nostri 25 lettori” (cit.) e per i nostri Commercianti e Galleristi: Artworks, cioè le Opere d’Arte che per tanti motivi rappresentano le loro realtà, per qualità, provenienza, storia, spiegate da loro, esattamente come se foste nella Galleria stessa!
Ad aprire le danze Antichità Mascarini, Cremona, che sceglie infatti un lavoro del cremonese Giovanni Maffezzoli, intarsiatore di qualità eccelsa, considerato non per nulla il miglior allievo di Giuseppe Maggiolini.
Giovanni Maffezzoli
Allegoria della Scultura
Dati dell’opera
Introduzione
Giovanni Maffezzoli fu indubbiamente il miglior allievo di Giuseppe Maggiolini (Parabiago 1738 – 1814), egli infatti non ne copia i modelli, come altri, ma li trasforma o ne utilizza di suoi propri: terreni di massi e cespugli, frammenti di capitelli e colonne antiche, vedute architettoniche e di antiche città sono trai suoi più lampanti esemmpi. Di questa sua propensione sono testimonianza un gruppo di disegni a lui attribuiti rinvenuti proprio nel Fondo Maggiolini delle raccolte artistiche del Comune di Milano, presi dal pittore Giuseppe Levati (Concorezzo 1739 – Milano 1828) che Maffezzoli conosce per frequentazione della bottega del suo maestro.
L’interesse collezionistico per i mobili e i pannelli a tarsia (un genere diverso e per certi versi nuovo, forse per l’interesse e il riscontro trovate nel gusto dei committenti cremonesi) è costante tra i diversi decenni per l’evidente esclusività e raffinata esecuzione che fanno sicuramente rientrare queste realizzazioni di un’arte minore nel campo di vere e proprie opere d’arte.
La vita
Giovanni Maffezzoli nasce a Cremona nel 1774 nella parrocchia di San Siro e Sepolcro (la chiesa che si trova tuttora in via Aselli) da Felice Maffezzoli e Barbara Alborni. Il padre Felice, nato nel 1741 anch’esso da padre falegname, è di professione legnamaro (doratore ed ebanista).
Di Giovanni si sa che vive nella casa con i genitori fino al 1788, quando ha 14 anni, quasi certamente in contatto costante con il laboratorio del padre, da dove, è presumibile, apprende i primi rudimenti del mestiere. Nel 1789 viene mandato a Parabiago, a bottega da Giuseppe Maggiolini, dove rimarrà per 6 anni, intervallato da un periodo milanese, città dove il suo maestro apre una bottega.
Merito del Maggiolini è di essere stato il primo a far ritornare in auge, raggiungendo una qualità eccelsa, il metodo dell’intarsio nel periodo neoclassico, riportandolo tra i nobili e l’alta borghesia del tempo.
Quello dell’intarsio era un metodo in voga già dal Trecento, adottato dai monaci certosini, capostipiti di questa tecnica, al tempo però limitata ad un tipo di intarsio a tasselli in legno, osso, madreperla a motivi geometrici, utilizzata per delimitare pannelli di mobili di gusto che si potrebbe definire arabeggiante (portato in Europa forse dopo le varie Crociate in Terra Santa e ripreso nel XX secolo, a nostro personale modo di vedere, da Carlo Bugatti, il più importante esponente dell’ebanisteria italiana dell’Art Nouveau tra il 1890 e il 1910) evolutosi poi nella seconda metà del Quattrocento, in maniera diversa e più complessa, sui pannelli di cori o di armadi da sagrestia, come quello conservato nel Museo Civico di Cremona eseguito nel 1477 da Giovanni Maria Platina (Piadena ? 1455 – Mantova 1500) nel quale, sempre contornati da cornici intarsiate alla certosina, i soggetti delle tarsie vanno dai ritratti di Madonne, alle nature morte con strumenti musicali, liuti, accompagnati da alzate di frutta.
Il biografo di Giuseppe Maggiolini, Giacomo Antonio Mezzanzanica, parla di Maffezzoli come miglior scolaro del maestro e lo descrive ragazzino, proveniente da famiglia benestante (ricordiamo che Maffezzoli sa leggere e scrivere, cosa non scontata al tempo, e appannaggio di pochi) nell’officina Maggiolini, in cui riceve vitto e alloggio in cambio del suo lavoro e degli insegnamenti ricevuti. Ne parla quindi per la sua bravura e abilità nell’intarsio di figure e paesaggio che gli valgono diversi premi dall’Accademia di Milano.
Il suo ritorno nella nostra città è databile al 1794, anno in cui, sempre nella parrocchia di San Siro e Sepolcro, si sposa. Questo ritorno sembra anche dovuto alla richiesta del padre, non più in buone condizioni fisiche, di aiutarlo nel lavoro.
I rapporti con il padre, però, non sono idilliaci, sia per un diverso modo do concepire il lavoro, per la diversa educazione artistica ricevuta, sia per motivi economici, Felice risulta debitore nei confronti del figlio, per prestiti ricevuti e per mancati compensi lavorativi. Dalla morte della madre nel 1806, fino al 1817, sostiene il padre economicamente, ne paga i debiti e in cambio riceve in eredità alcune sue proprietà immobiliari. Ad un anno circa da questi eventi, il 17 maggio 1818, Giovanni Maffezzoli muore di tubercolosi nella sua casa di vicolo Bissone, senza lasciare alcun testamento riguardo la sua vita e produzione artistica.
Descrizione
Il pannello a tarsia, un mosaico di almeno venti legni da frutto e di essenze per intarsio autoctoni si presenta in ottimo stato di conservazione, senza mancanze, in patina, mai restaurato con ancora la sua vernice originale.
Da riferirsi secondo noi al 1795 (al massimo entro la fine del 1700, al ritorno a Cremona dopo il periodo di apprendistato milanese) per soggetti e caratteri simili a mobili presenti in Palazzo Mina Bolzesi, raffigura un episodio di ben 11 personaggi inseriti in un paesaggio montano.
Il personaggio principale, seduto sotto il baldacchino scenografico, forse Antonio Canova (un’ipotesi che ci sembra suggestiva e intrigante: Antonio Canova è contemporaneo di Maffezzoli; c’è una parvenza di somiglianza con alcuni ritratti del periodo; Possagno, paese di nascita del Canova è un paese di mezza montagna come quello sullo sfondo; avvalora il senso della raffigurazione), sta osservando un lapicida inginocchiato, di età matura, che sta scolpendo un capitello a foglie d’acanto, e al contempo indica un mezzo busto virile della classicità romana a due spettatori defilati che osservano attenti. Vicino allo scalpellino, seduto di schiena, è probabilmente un giovane allievo che segue le fasi lavorative, procedendo secondo la linea diagonale che porta verso il margine inferiore sinistro si vede una madre, anch’essa con lo sguardo rivolto alla scena, con un neonato in braccio e il figlio ragazzino che l’accompagna vicino ad un uomo seduto di schiena, forse il padre, o forse qualcuno a cui chiedere la carità: gli abiti, i piedi scalzi, li collocano infatti in una condizione miserevole e richiamano i dipinti seicenteschi della tradizione lombarda e non solo, che, partendo da Caravaggio, per finire a Giacomo Ceruti (Milano 1698 – 1767), idealizzano la realtà del popolo degli ultimi.
In secondo piano, sempre di schiena, un personaggio indica ad un altro uomo nascosto alla nostra vista da un grosso masso, di cui si intravede solo una parte del volto (forse un autoritratto dello stesso Maffezzoli, alla maniera dei pittori quando si dipingono nelle loro opere, come osservatori in secondo piano delle stesse), la strada per giungere al paese (Possagno?) che fa da sfondo immerso nella vegetazione e negli alberi, ai piedi di mezze montagne in un cielo ricoperto di nubi.
Sulla sinistra la pianta, forse una quercia secolare, ed il tronco spezzato di un’altra, fanno da controparte scenografica al palco con tendaggi e rovine architettoniche varie: una mezza colonna scanalata con capitello, un basamento in marmo per statua, un bassorilievo raffigurante un busto in corona d’alloro, una parte di architrave con appoggiato un travetto in legno spezzato a cui un cagnetto con coda scodinzolante sembra rivolgere le proprie attenzioni per i suoi bisogni.
Infine, la parte inferiore, un misto di rocce variegate che ci ricordano degli studi di Alfredo Signori (Cremona 1913 – 2009) e cespugli in cui la fa da padrone una piantina a foglie larghe che sembra presa dalla vegetazione di un quadro di Antonio Campi (Cremona 1522 – 1587).
La tarsia non è firmata ma ci sono vari motivi per ritenerla indubbiamente opera del nostro ebanista:
- La provenienza cremonese;
- La tipologia dei diversi legni, di derivazione nostrana; esempio ne è il filetto scuro che ne delimita il perimetro e la incornicia, in rovere affogato, un legno che spesso nei mobili ad intarsio del neoclassicismo cremonese, viene utilizzato a sostituire il ben più pregiato e irreperibile ebano;
- La mescolanza di architetture e rovine, in un contesto naturalistico, che trovano riscontri nei paragoni con i suoi disegni del Fondo Maggiolini, vedasi ad esempio la colonna con il basamento in primo piano;
- L’abilità e la maestria nell’esecuzione di un’opera complessa, un soggetto non banale che presume un bagaglio culturale, la capacità di inserirla in una scenografia prospettica motivata da una conoscenza disegnativa che sa tenere conto ad esempio di proporzioni o dell’uso delle ombre (la grande pianta in primo piano, il lato del grande masso marmoreo da cui si intravede il volto del presunto Maffezzoli, la base dell’architrave, il lato del porta statua, la parte destra dei tendaggi, le piccole rocce e i sassi alla base), quindi un insieme di fattori ad appannaggio di un maestro;
- Ultima ma certamente più probatoria per confutarne l’autografia è la conferma dataci dal Dott. Riccardo Arcari, sicuramente il più autorevole a dare un parere, per il numero di opere e loro caratteristiche, studiato e osservato.
Per concludere ci auguriamo venga pubblicata una biografia scientifica, magari con un corpus di notizie e di fotografie inedite a completare in modo significativo lo studio su questo artista cremonese per dargli il risalto che merita nella scala dei valori dell’ebanisteria neoclassica europea.
Un invito all’amico Dott. Riccardo Arcari a continuare nella sua ricerca e a dar voce al merito dei suoi studi.
Leggi la scheda completa su www.mascariniarte.com