XIX secolo
Olio su tela, cm 79 x 61 - con cornice cm 104 x 85
Cerchia di Giovanni Migliara (Alessandria, 1785 – Milano, 1837)
Interno di chiesa: l’arresto della monaca di Monza
Olio su tela, cm 79 x 61 – con cornice cm 104 x 85
Il dipinto in esame è da riferire, per soggetto e definizione, ad un pittore della cerchia di Giovanni Migliara (1785 – 1837), pittore originario di Alessandria. La sua formazione fu particolare ed eclettica. Figlio di un ebanista fu a bottega a Milano presso lo scultore Luigi Zuccoli tra il 1801-02. Nello stesso periodo frequentò l’Accademia di Brera e dal 1804 lavorò anche come scenografo presso lo studio di Gaspare Galliari. Alcuni suoi studi scenografici, conservati presso la Pinacoteca di Alessandria o la Galleria d’Arte Moderna di Torino, denotano influenze del Galliari, erede della tradizione juvarriana, cui aggiunse tratti pittoreschi, di gusto neoclassico. Negli stessi anni iniziò a dedicarsi sempre di più alla pittura realizzando opere di piccolo formato. Nel 1812 presentò all’esposizione di Brera quattro vedute di Milano e due composizioni ideali che riscossero subito notevole successo. La sua prima produzione trae ispirazione dai capricci di gusto veneziano del Settecento. Nel 1813 pubblicò un Trattato di geometria descrittiva. Dal 1815 si interessò anche alla tecnica incisoria, alla litografia e della pratica dell’illustrazione. Nel 1817 espose tre opere al Salon di Parigi e presentò a Brera, per la prima volta, un interno monastico, soggetto che riscuoterà grande successo e riprenderà più volte. Tra il secondo e il terzo decennio dell’Ottocento si affermò nell’ambiente culturale della Milano romantica, con un genere nuovo costituito dalla rappresentazione prospettica di monumenti urbani e di interni monumentali, di piccole dimensioni. Pittore particolarmente apprezzato rifiutò nel 1825 la cattedra di Brera, per i troppi impegni e nel 1833 fu nominato pittore di genere del re di Sardegna. Il Migliara si trova a cavallo di neoclassicismo e romanticismo. Il suo gusto, infatti, moderatamente neoclassico non gli impedisce di anticipare elementi romantici, creando nelle sue opere un genere di pittura originale e particolare. Questi piccoli quadri “da guardare da vicino” garantirono all’artista fin dagli esordi, il favore della critica e di un pubblico colto che li collezionava come piccoli oggetti preziosi, destinati ad arredare studioli e cabinets. Migliara, nelle sue opere, amava introdurre alcuni indizi che permettessero al pubblico di identificare il luogo rappresentato, senza rinunciare all’inserzione di particolari dell’immaginazione. Contribuisce a restituire la suggestione dell’ambiente la raffinata resa luministica del dipinto, tutta giocata sull’intenso contrasto tra le ampie zone in ombra in primo piano e quelle colpite dai raggi di sole che filtrano dalle aperture rotonde della cupola e soprattutto dalla lunetta a destra. La raffinatissima tecnica miniaturistica, l’elegante luminismo e il soggetto che contraddistinguono l’opera, sono ricavati dalla tradizione artistica fiamminga, mediata attraverso stilemi più moderni. Un suo interno di Convento è conservato presso le Gallerie d’Italia a Milano mentre una veduta del Chiostro della Certosa è conservata presso il Museo di Santa Giulia a Brescia.
La scelta di rappresentare un particolare istante di azione, l’arresto della monaca di Monza, rende ancora più interessante la tela. Marianna de Leyva (1575 – 1650), la monaca di Monza, protagonista di un celebre scandalo all’inizio del XVII secolo fu resa celebre dai promessi sposi di Alessandro Manzoni. Orfana di madre fu costretta all’età di tredici anni ad entrare nel monastero monzese di Santa Margherita. Grazie anche alla complicità di alcune monache, a seguito di una relazione clandestina con Gian Paolo Osio, la cui abitazione si affacciava sui giardini del monastero, ebbe due figli. Quando una monaca sembrò intenzionate a rivelare il tutto, Osio la uccise, insieme a un altro testimone. Il cardinale Federico Borromeo avviò però un’indagine che portò all’arresto della monaca e alla sua confessione. Fu condannata a vivere in una cella murata, di neanche quattro metri quadrati. Nel 1622 dopo quattordici anni trascorsi così, il cardinale Borromeo le concesse il perdono; tornata suora, scelse di restare con le Convertite di Santa Valeria, a Milano, dove aveva trascorso la pena.
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