Il 4 marzo si è conclusa la mostra Scorribanda presso la Galleria Nazionale di Roma in cui la collezione di Fabio Sargentini, celebre gallerista romano, è stata esposta nella sala maggiore del Museo. A coronare i sessant’anni di vita della galleria l’Attico, la performance Art will never die firmata Elsa Algabato e Fabio Sargentini ha reso omaggio alla carriera di questo personaggio importante del mondo artistico.
Fabio Sargentini decide di seguire le orme del padre che nel 1966 gestisce l’Attico di Piazza di Spagna: una galleria famosa, con un via vai che da nazionale diventa presto internazionale, fino alla divisione che ha portato fortuna a Sargentini Junior. Nel 1968 infatti Fabio sposta la sede della galleria in via Beccaria in un garage: una mossa avventata quanto rivoluzionaria, che lo consacra fra i galleristi che hanno fatto la storia dell’arte contemporanea negli anni Sessanta e Settanta, anni importanti in cui gli artisti tutti cercano un pretesto per scombinare le regole di un gioco che si chiama Mercato dell’Arte.
L’assenza dell’oggetto artistico, l’avvento della performance, la provocazione in toto (sono gli anni della Merda di Manzoni, dei Bachi da Setola di Pino Pascali) bastano a rendere l’Attico punto nevralgico di una sperimentazione che Fabio Sargentini ha cercato di restituire alla mostra da lui allestita negli ultimi mesi. Una sala rettangolare in cui le opere della sua collezione non occupano lo spazio ma lo seguono, dove la performance conclusiva conferma il valore sociale dell’arte di cui Sargentini si è fatto portavoce nell’ultimo cinquantennio di storia artistica.
Il 5 marzo infatti circa 300 persone, fra attori e spettatori, hanno partecipato alla conclusione della mostra suddetta con la performance Art will never die: una proiezione iniziale, con originali d’epoca, ha lasciato spazio ad una recitazione di 5 attori e subito dopo ad una folla di giovani “arrabbiati” che dall’ingresso del museo ha invaso la sala principale. Cartelli alla mano (“ART WILL NEVER DIE”), toni concitati, il coro intona all’unisono “Art will never die!” E nasconde nel suo centro Fabio Sargentini stesso, che si agita insieme agli altri, manifesta il dissenso che, in un modo o nell’altro, è sempre stato suo.
La performance è stata realizzata con la collaborazione artistica dell’Accademia di Belle Arti e l’Accademia professionale del CineTeatro di Roma: una commistione di video, attori e performer ha infatti reso la sala delle colonne del Museo un unico palcoscenico in cui i due registi si sono cimentati nello studio dello spazio e del suono. All’interno delle quattro mura il coinvolgimento dello spettatore, sia fisico che emotivo, è stato reso possibile grazie al sapiente uso del linguaggio trasmesso, sia verbale che corporale.
La proiezione dei filmati d’epoca nazional socialista, in cui l’oppressione verso ogni forma d’arte che non fosse consona al regime autoritario era all’ordine del giorno, si è opposta all’esibizione di cinque attori che hanno nominato la parola “Art” con diverse sfumature di tono e di linguaggio, preparando il pubblico all’ingresso di una crescente onda “rivoluzionaria” di persone che hanno varcato la soglia della sala delle colonne con fervore ascendente. La dispersione del coro fra il pubblico, che ha visto la presenza di circa 300 persone nel complesso, ha istantaneamente reso la performance viva e vissuta, tramutando ciò che un attimo prima era spettacolo in una performance partecipata. Il coinvolgimento di Fabio Sargentini in prima persona ho reso il tutto più intimo e allo stesso tempo consapevolmente pubblico, nell’accezione positiva in cui l’Arte è di tutti e will never die.
Eleonora Rebiscini, storica dell’arte e aspirante blogger, inizia ad affacciarsi nel mercato dell’arte contemporanea.
Passatempo preferito: scattare fotografie al museo e pubblicarle su instagram con @elancora.