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Epoca

1600

Misure

cm 133 x 109

Descrizione

XVII secolo, seguace di Tiziano Vecellio

Venere allo specchio

Olio su tela, cm 133 x 109

Il dipinto in questione riprende in maniera sagace l’iconografia della Venere allo specchio di Tiziano attualmente conservata presso la National Gallery of Art di Washington e databile attorno al 1552-1553. Il tema iconografico della Venere allo specchio risulta essere uno dei più fortunati per quanto concerne la produzione tizianesca: il maestro originario del Cadore affronta questo tema in una trentina di occasioni nell’arco della sua lunga carriera; opere recanti questo soggetto, attualmente perdute, si trovavano presso le raccolte di Carlo V e del facoltoso mercante Niccolò Crasso. Quella attualmente esposta presso le sale della National Gallery of art di Washington è ritenuta dagli storici dell’arte una delle versioni maggiormente riuscite di questo soggetto; si tratta probabilmente della prima occasione in cui il maestro del Cadore sceglie di ritrarre la divinità greca non mollemente distesa ma in una scena di toeletta, un tipo di situazione che aveva già sperimentato ritraendo alcune anonime donne. In questo caso, la posa della dea riprende il modello di una Venere pudica, probabilmente la cosiddetta Venere de’ Medici, allora a Roma, che il pittore ebbe modo di vedere durante il soggiorno in quella città nel 1545-1546 «imparando dalle meravigliose pietre antiche». A riconoscere il valore di questa variante del soggetto fu, per primo, lo stesso Tiziano, che, dopo aver eseguito l’opera, decise di non venderla ma di serbarla per sé e di esporla presso il suo atelier, ubicato a Venezia presso i Biri di San Canciano, per più di un ventennio. La ragione per cui Tiziano conservò un dipinto di così alta qualità per tanto tempo è incerta, ma questa Venere potrebbe essere stata una fonte d’ispirazione per coloro che lavoravano per l’artista o lo visitavano. Per i membri della bottega tizianesca, essa potrebbe essere servita come modello da ammirare ed imitate; inoltre, il dipinto potrebbe aver spinto i visitatori a ordinare immagini simili, consistendo in una sorta di funzionalissima immagine pubblicitaria ante litteram. È anche a causa del prolungato periodo di permanenza della tela presso lo studio veneziano di Tiziano che esistono di questo dipinto varie copie coeve o di poco successive, tra cui si può certamente annoverare l’opera in questione. In seguito alla morte del maestro del Cadore e del figlio Orazio, che operò nello studio paterno tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta del Cinquecento, il dipinto fu acquistato dalla nobile famiglia veneziana Barbarigo, che, presso la loro ricca dimora sul Canal Grande, Ca’ Barbarigo alla terrazza, possedevano già vati dipinti tizianeschi. È proprio presso Ca’ Barbarigo che i due maggiori eruditi del Seicento Veneziano, Carlo Ridolfi e Marco Boschini, collocano «una Venere sino a ginocchi, che si vagheggia nello specchio con due Amori», unanimemente identificata dagli storici dell’arte con il dipinto in questione. Nel Settecento, la collezione Barbarigo divenne una meta obbligata per i viaggiatori cultori dell’arte e per i giovani aristocratici europei che visitavano Venezia in occasione del Grand Tour: Cochin la descrive come una «scuola di Tiziano» e de Brosses menziona la Venere allo specchio come «parfaitement beaux». L’opera, in collezione Barbarigo ancora nell’Ottocento, viene citata nel primo catalogo ufficiale della raccolta, quello redatto nel 1845 da Giovanni Carlo Bevilacqua, che fa riferimento anche alla presenza, presso il palazzo sul Canal Grande, a due dipinti di Bellini, tredici di Giorgione, uno di Palma il Vecchio ed uno di Tintoretto. Nel 1850 l’ultimo erede della famiglia Barbarigo, caduto in disgrazia, vendette vari dipinti allo Zar di Russia Nicola I. L’opera fu esposta presso le sale dell’Ermitage di San Pietroburgo sino agli anni ’30 del ‘900: nel 1930, al fine di accumulare valuta estera per il primo dei piani quinquennali per l’economia nazionale dell’Unione Sovietica, il governo sovietico vendette segretamente la Venere, insieme ad altri venti capolavori del museo, al miliardario americano Andrew Mellon. Mellon sei anni dopo, nel 1937, donò la sua collezione di 121 dipinti e 21 sculture, tra cui la splendida Venere allo specchio di Tiziano, al governo americano per costituire il primo nucleo della National Gallery of Art di Washington, fondata su suo impulso. La Venere di Washington, nel trattamento accurato della tessitura delle superfici e nella loro tattile sensualità, tratto tipico specialmente nella produzione pittorica del Tiziano degli anni Cinquanta, incarna l’ideale di bellezza di quell’epoca mentre rivela, più che coprirla, morbidezza delle candide carni della dea avvolte nel drappo rosso contornato da ricami d’oro e d’argento e foderato di morbida pelliccia. La fortuna visiva di questa popolare versione della Venere allo specchio tizianesca, diffusasi attraverso le copie coeve e le numerose stampe di traduzione, fu immensa anche tra i grandi artisti del secolo successivo: particolarmente rilevanti in questo senso sono le versioni di Rubens (Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza) e Van Dyck (Londra, British Museum). È probabilmente nel Seicento che dovrebbe essere collocata questa versione della Venere tizianesca: l’artista riesce a reinterpretare fedelmente il modello illustre, conferendo alla figura femminile la medesima monumentalità. La lucentezza dell’incarnato della dea contrasta nettamente con il profondo rosso del manto che le copre parzialmente il corpo, in un interessante gioco di luci ed ombre. Dettagli di particolare eleganza, ripresi dal capolavoro del maestro del Cadore, coincidono con i preziosi gioielli e l’elaborata cornice dello specchio vigorosamente sorretto da Cupido. Così come in varie versioni del Seicento del dipinto – prima tra tutte quella di Rubens al Thyssen di Madrid – anche in questo caso, rispetto alla variante tizianesca, si dimostra assente il putto affaccendato a porre una leziosa coroncina floreale sul capo della divinità.

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