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Epoca

XIX secolo

Misure

Olio su tela, 92 x 74 cm

Descrizione

Scuola Lombarda, Seconda metà del XIX secolo

Agar ed Ismaele

Olio su tela, 92 x 74 cm – Cornice antica 125 x 108 cm

 

La tela esaminata mostra una chiara adesione ai principi del classicismo storico e dell’arte accademica del XIX secolo, con una composizione equilibrata e un’attenzione dettagliata alla resa anatomica e al panneggio. L’uso del colore, il paesaggio desertico e l’illuminazione soffusa rimandano alla tradizione pittorica lombarda e alle interpretazioni che Francesco Hayez (1791 – 1882) ne fornì. La pittura di Hayez fu infatti particolarmente emblematica. Accostandosi al repertorio biblico, mitologico e storico, lo stile di Hayez fu molto vicino alla sensibilità romantica, reinterpretata però alla luce di una temperie spiccatamente classicheggiante e accademica. Questa equidistanza fra classicismo e romanticismo, le due posizioni dicotomiche di quella veemente diatriba che segnò l’Ottocento, ebbe un ruolo decisivo per la fortuna della produzione hayeziana, che in questo modo esercitò un’autorevole influenza sulla pittura ottocentesca e sul gusto estetico italiano.

Un confronto significativo può essere fatto con opere di Hayez come la Tamar e Giuda (1847, Collezione del Civico Museo d’Arte Moderna e Contemporanea – Castello di Masnago) e altre rappresentazioni di eroine bibliche da lui dipinte (Betsabea al bagno, Rebecca, Susanna, Loth e le figlie, nonché numerose versioni di odalische e bagnanti) in cui emerge una simile impostazione scenografica e una profonda intensità espressiva. Il pathos e l’enfasi sulla drammaticità della narrazione ricordano le sue composizioni, da cui il pittore qui operoso deve aver tratto spunto, dove la figura femminile è spesso ritratta con grande dignità e forza emotiva.

L’impostazione e il linguaggio pittorico suggeriscono dunque un legame con artisti lombardi del periodo, noti per la loro sensibilità narrativa e la capacità di tradurre soggetti storici e religiosi in immagini di forte impatto emotivo. L’opera potrebbe inserirsi nel filone romantico della seconda metà dell’Ottocento, quando il tema della sofferenza e della redenzione biblica veniva trattato con forte pathos e resa teatrale.

Il dipinto rappresenta l’episodio biblico di Agar e Ismaele nel deserto, tratto dal Libro della Genesi (21:14-19). Agar, schiava egiziana e madre del primogenito di Abramo, Ismaele, fu cacciata insieme al figlio su ordine di Sara. Errando nel deserto di Beersheba, madre e figlio soffrirono la sete fino a quando Dio ascoltò il pianto di Ismaele e inviò un angelo per salvare la donna e il bambino, indicandole un pozzo d’acqua.

L’opera enfatizza il pathos della scena attraverso il contrasto tra la figura materna eretta, che regge un’anfora (simbolo di speranza e sopravvivenza), e il giovane Ismaele, piegato in una posizione di stanchezza e sofferenza. Il paesaggio arido e i colori terrosi accentuano la drammaticità della narrazione. Il gesto di Agar, con il braccio sollevato, sembra indicare la ricerca disperata dell’aiuto divino, sottolineando il tema della provvidenza e della salvezza miracolosa.

Come nelle rappresentazioni hayeziane di eroine bibliche come Tamar, Rebecca e Ruth, Agar è raffigurata con un’aura di nobiltà e forza interiore, caratteristiche che nell’arte romantica ottocentesca servivano a esaltare il coraggio e la sofferenza femminile.

La scelta del soggetto e la sua resa pittorica suggeriscono una lettura in chiave sentimentale e moralizzante, tipica della pittura storica lombarda del XIX secolo.

Approfondimenti
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