1600
cm 49 x 63
Giovanni Antonio Galli, detto lo Spadarino (Roma, 16 gennaio 1585 – Roma, 17 agosto 1652) (attr.)
Coppia di putti
Olio su tela, cm 49 x 63
Con cornice cm 67 x 81
Giovanni Antonio Galli nacque a Roma, nei pressi della parrocchia di S. Lorenzo in Damaso, il 16 gennaio del 1585 da Salvatore Galli e da sua moglie Brigida. Al mestiere del padre, fabbricante di spade, si deve il soprannome di Spadarino, dato sia a Giovanni Antonio sia al fratello maggiore, Giacomo, anch’egli pittore, ma soprattutto intagliatore e indoratore di soffitti, con cui in passato l’artista era stato confuso. Il primo maestro dell’artista fu Agostino Tassi, al fianco di cui Spadarino eseguì, negli anni ’10 del Seicento, il ciclo di affreschi per il palazzo del Quirinale. Per quanto concerne l’attività di Spadarino al Quirinale, Roberto Longhi nel 1943, riconobbe la sua mano nei due ovali con il Ritrovamento di Mosè e Mosè e le madianite della parete destra della sala attualmente detta dei Corazzieri; Giuliano Briganti gli attribuì anche i quattro putti soprastanti e Marsicola vi aggiunse la figura della Virtù a sinistra del Ritrovamento di Mosè.
Dopo una prima fase di formazione accanto al Tassi, Spadarino continuò il proprio apprendistato presso la prolifica bottega del pittore fiammingo attivo a Roma Gherardo delle Notti. Dovette essere Gherardo delle Notti a introdurre Galli nella cerchia dei Medici: a Firenze ricevette in data 17 sett. 1619 il pagamento di un quadro di grandi dimensioni, di cui è ignoto il soggetto, effettuato per tramite dei Ticci, banchieri dei Medici, e il 1° giugno 1620 il saldo per una Crocifissione, opere destinate alla cappella Guicciardini di S. Felicita (Corti, 1989, pp. 130-132). Tra i maestri dello Spadarino il Longhi (1943, p. 28) annoverava anche Carlo Saraceni, sotto il cui influsso il pittore romano avrebbe dipinto Gesù tra i dottori oggi nel palazzo Reale di Napoli e il S. Antonio da Padova con il Bambino nella chiesa dei Ss. Cosma e Damiano in Roma. La commissione più importante che il Galli riuscì a ottenere nella prima fase della sua carriera è sicuramente la pala d’altare con il Martirio dei ss. Valeria e Marziale per S. Pietro, il cui ultimo pagamento risale al gennaio del 1633. Intorno a quest’opera, ritenuta finora l’unica databile con certezza, il Longhi (1943) aveva costruito il primo catalogo dell’artista, di cui facevano parte anche L’elemosina di s. Tommaso da Villanova (Ancona, Pinacoteca Podesti), la Carità di s. Omobono nell’omonima chiesa romana, l’Adultera (Verona, Museo civico), tutte opere ascrivibili alla produzione giovanile del pittore.
Dal 1628 al 1652, anno della sua morte, Galli abitò in via Ripetta come riportano gli stati delle anime della parrocchia di S. Maria del Popolo. Il 26 novembre 1638 il Galli ricevette l’incarico di affrescare le attuali sale Manzoni e Garibaldi di palazzo Madama, terminate nel 1641. Dal 17 giugno 1647 al 3 luglio 1649 il Galli fu pagato per aver realizzato i cartoni per i mosaici della cappella del coro in S. Pietro: è probabile che, per questa importantissima commissione, l’artista fosse stato raccomandato da Virgilio Spada il quale ricevette in segno di gratitudine, i Due cherubini ancor oggi esposti nella Galleria Spada. Il tema dei cherubini fu variamente replicato dal Galli, evidentemente a seguito del successo ottenuto dalla tela della Galleria Spada. Due tele con questo soggetto si trovavano, del resto, ancora nello studio del pittore, come testimonia il suo inventario dei beni.
L’opera in questione potrebbe coincidere con una delle varie versioni eseguite dall’artista di questo fortunatissimo soggetto. Le due teste di cherubini con le ali emergono da un fondo scuro, collocate in una sospensione temporale. Il primo putto, con capelli lunghi biondi, è ritratto di profilo; il secondo, dalla chioma castana, rivolge lo sguardo sorridente verso lo spettatore. I volti sono resi con un modellato plastico che definisce con sicurezza i volumi, per mezzo di un accentuato contrasto chiaroscurale. All’artista, come precedentemente accennato, si devono altri dipinti di analogo soggetto, raffiguranti due, tre o più teste di cherubini (si segnalano anche un esemplare già in collezione dei Marchesi Turinetti di Cambiano in Piemonte, Fototeca Zeri, n. scheda 45906 e uno attualmente parte delle collezioni dei Musei Civici di Macerata), a testimonianza di un certo successo raggiunto da questa particolare iconografia, destinata principalmente ad una committenza privata. I marcati chiaroscuri del dipinto e i coinvolgenti giochi di luce che caratterizzano l’opera mostrano come l’artista, attivo durante l’intero arco della sua carriera, abbia fatto propria la lezione di Caravaggio, che risulta mediata dagli insegnamenti del maestro Gherardo delle Notti.
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