1700
cm 88 x 118
Scuola ticinese, fine XVIII secolo
Ultima Cena
Olio su tela, cm 88 x 118
Questa Ultima Cena va inserita nella serie di derivazioni da un modello ideato e replicato più volte da Pieter de Witte (1548 circa – 1628), che trovò grande diffusione grazie alla stampa di Jan Sadeler, membro di una notissima famiglia di incisori, il quale incise molte opere ideate da Pieter. Il modello viaggiò in tutta Europa e perdurò nel corso dei secoli giungendo anche in Italia nel corso del Seicento, secolo a cui appartiene l’opera qui descritta. Inoltre va ricordato che il de Witte, originario di Bruges, risiedette per molti anni in Italia, fra le città di Roma, Firenze e Volterra, divenendo anche collaboratore di Giorgio Vasari, sotto cui si completò la sua maturazione artistica; attraverso queste sue frequentazioni il pittore si fece conoscere e apprezzare dagli addetti ai lavori e dai mecenati italiani sin dopo la sua morte, come testimoniano le diverse versioni dell’Ultima Cena realizzate in tempi e luoghi diversi in tutta la penisola. In questo particolare caso, sebbene si attinga alla composizione del de Witte, l’artista si dimostra memore degli insegnamenti caravaggeschi, che avevano ispirato molti altri colleghi sia in Italia che all’estero. Fra le scuole che nacquero in seno alla lezione del Caravaggio ritroviamo quella ticinese, che annovera fra i suoi maggiori esponenti personalità del calibro di Giovanni Serodine (1594 o 1600 –1630) e Tanzio da Varallo (1582-1633). L’anonimo esecutore di quest’opera va inserito in questa corrente, con qualche decennio di ritardo rispetto ai due maestri sopra citati; lo dimostra l’uso di un chiaroscuro più intenso attraverso uno sfondo completamente scuro e una luce che taglia da fuori campo la tavola e i personaggi. I toni divengono più freddi, la pennellata più pastosa e i contorni più sfumati, soprattutto nei lineamenti dei presenti che trasmettono una maggior realismo e dinamicità espressiva. Se l’ambientazione buia sacrifica alcuni dettagli degli apostoli in secondo piano, l’attenzione ai particolari della tavola rimane inalterata seppur con alcune modifiche rispetto alle vivande, come il maiale arrosto al centro che rivela l’estrema capacità nel rendere realisticamente gli oggetti e i cibi oltre che le figure umane. In definitiva l’espressività, il chiaroscuro, il realismo e la dinamicità rivelano senza dubbio le medesime istanze apprese dai pittori ticinesi in seguito alla conoscenza e allo studio dei capolavori del Merisi.
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