XVIII secolo
cm 36,5 x 34,5
Seguace di Giambattista Valentino Piazzetta (Venezia, 1682 – ivi, 1754)
Testa di San Pietro
Olio su tela applicato su cartone, cm 36,5 x 34,5
Con cornice cm 42,5 x 41
Le claves Regni Coelorum, imprescindibile attributo petrino, fanno timido capolino nel presente dipinto, con l’unico scopo di consentire il riconoscimento del personaggio. L’interezza dell’attenzione si convoglia invero sul Santo, dall’umanità dolente e dalla divina ispirazione. Pietro è reso con un’epidermide liquida, illuminata da una luce perlacea che scivola e sgocciola a definire prepotenti naso, zigomi e arcata sopraccigliare; mentre l’umor vitreo dell’occhio si volge brillante al cielo, ad indagare le massime volontà del mistero divino.
Il ritratto, qui reso in intenso monocromo, denuncia la diretta dipendenza del presente artista alle suggestioni di Giambattista (Valentino) Piazzetta, uno dei maggiori tra i maestri settecenteschi veneziani. A seguito di un acerbo praticantato nell’ambito dell’intaglio ligneo presso il padre Jacopo, scultore di Pederobba, nel Trevigiano, Piazzetta si ritirò nella bottega di Antonio Molinari (1655-1704), esponente del primo manierismo veneto. Allo scavalco del secolo l’artista eseguì l’unico viaggio formativo della sua vita, diretto verso la città di Bologna. Qui recepì il naturalismo di Giuseppe Maria Crespi (1665-1747), presso il quale si impegnò così tanto che, più tardi, un allievo del Piazzetta, Antonio Martinetti, lasciò allegra testimonianza dello stupore dello stesso Crespi di fronte ai risultati raggiunti dall’apprendista, nel suo commento: “Voi ne sapete più di me, e io invece ho bisogno d’imparare da voi”. Piazzetta adottò eccezionalmente, essendo artista veneziano, il colorismo caravaggesco, preso dichiaratamente a modello nella traduzione dei forti contrasti chiaroscurali, accostati all’immediata crudezza dell’emiliano Guercino (1591-1666). Tornato a Venezia nel 1711, l’artista schiarì la propria tavolozza studiando, durante gli anni Venti, Strozzi e Liss, attivi direttamente nella città lagunare, ma anche Solimena e Rembrandt, dai quali derivò una luminosità serenamente pacata. Al 1725 risale l’affresco della Gloria di San Domenico eseguito per la cupola della Chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo (S. Zanipolo), alla cui realizzazione aveva aspirato anche Tiepolo; della sperata commessa tiepolesca rimane traccia nel bozzetto dipinto da questo artista in occasione del concorso (1723, Venezia, Gallerie dell’Accademia). L’ingresso negli anni Venti aveva messo in luce il periodo più felice del Piazzetta: si ricordino, tra tutte le opere, L’indovina (Louvre), Rebecca al pozzo (Brera) e il capitale San Jacopo trascinato al martirio (Chiesa di San Stae, Venezia).
È possibile confrontare il presente dipinto con la più genuina matrice pittorica del Piazzetta, che eseguì ben due ritratti petrini assai simili al presente, riproposti qui dal seguace in una rinnovata e luminosissima umanità, l’uno scorso sul mercato antiquario (asta Christie’s) il 5 giugno del 1980 (lotto n. 22), l’altro in collezione privata. Lo stesso viso maschile vòlto al cielo con intimo trasporto, di eguale fisionomia, persino nella barba, venne riproposto dal Piazzetta nel Giuseppe del San Giuseppe con il Bambino (Praga, Nàrodni Galerie) e pure, clamorosamente, nell’Apostolo scioccato dell’Assunzione della Vergine (1735, Parigi, Musée du Louvre), dal quale una parte della critica sostiene debba derivare il modello per le due teste di San Pietro sopraddette. Si rammenti infine il San Pietro di Amburgo (collezione Scholz-Forni), attestato attorno alla metà del quarto decennio dal Goering, dal quale lo stesso Piazzetta cavò, ancora una volta, ispirazione per l’Abramo del Sacrificio di Isacco di Baroda (Baroda Museum and Picture Gallery).
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